Io Obietto – Teatro Quarticciolo

Pungente e angosciante, di una scomodità ricercata e attentamente studiata, “Io obietto” mette in scena una di quelle tematiche difficili al punto da essere molto spesso evitate. E la mette in scena col fine (conseguito alla perfezione) di struggere lo spettatore, di lasciarlo uscire dalla sala con lo stomaco rivoltato e una nuovo spunto di riflessione con cui misurarsi. Definirlo un spettacolo ‘’forte’’ sarebbe riduttivo; l’intento di sensibilizzare il pubblico attraverso una sinergia di crudezza e ironia è reso attraverso il continuo contrasto tra scene di un vitalismo esaltato e altre cupe, in cui i giochi di ombre e luci, l’uso delle maschere e il timbro di voce astioso e concitato rendono l’atmosfera inquietante. Il terrore viene subito sostituito da un clima di eccessiva spensieratezza, sempre accompagnato dal suono di una chitarra o le strofe di una canzonetta. È la trasposizione più scontata, ma anche più veritiera, di un’Italia che fa spettacolo delle tragedie; nella presentazione del tema generale, l’obiezione di coscienza, il riferimento alla situazione italiana, così come a quella europea, è di rilevante importanza, soprattutto se si tiene conto di come i dati influenzino la vita delle donne (e degli uomini, alla lontana), a volte in maniera letale, come è successo a Bianca.

Bianca Rossi arriva in ospedale incinta di due gemelli da venti settimane, con l’utero dilatato; al terzo tentativo di fecondazione assistita, per un costo di circa 24.000 euro, stimano le infermiere. La cartella clinica parla chiaro, tutti all’interno della struttura sanno che Bianca perderà i suoi bambini, ma nessuno fa niente. Il direttore non vuole sentire ragioni; finché c’è il battito fetale, la gravidanza va portata avanti. Bianca muore insieme ai gemelli, tra gli strazianti gemiti di dolore che accompagnano e ritmano le sue ultime ore di vita. Infermieri e dottori passano senza degnarla neanche di uno sguardo; “una semplice influenza” dicono, negando l’evidenza, per salvaguardare il prestigio di una struttura notoriamente “obiettrice”, in cui la voce di quei pochi che vorrebbero opporsi è sovrastata da una gerarchia di potenti che non lo rendono possibile.

Linguaggio e utensili tecnici sono funzionali alla resa verosimile del racconto, che è avvalorata dalla fonte da cui viene tratto: scritto da Elisabetta Canitano, femminista e ginecologa di fama, il testo prende spunto da una storia vera, quella di Valentina Milluzzo, morta di sepsi il 16 ottobre 2016 in un ospedale di Catania. A fine spettacolo, non si chiude nessun sipario, il cast (interamente al femminile) sparisce per tornare istanti dopo, aperto alle domande e disponibile a passare qualche istante con il pubblico per chiarire tematiche e scelte forse un po’ oscure. Lo slittamento dal piano della finzione a quello della realtà è doveroso laddove ci si confronta con l’ambito medico-scientifico; la rappresentazione non è un inutile sfoggio di stile e bravura, tantomeno si fa portavoce di una qualche massima morale. “Io obietto” è uno spettacolo pragmatico, che va oltre quella che può essere lo scopo di una qualsiasi sceneggiatura, che lo eleva al pari di uno strumento mediatico, che dà voce all’aspetto concreto del teatro, alla sua utilità sociale, talvolta dimenticata.

Ludovica Galle

Toccante e spinoso lo spettacolo della Compagnia Causa (supervisionata dal regista Amandio Pinheiro) messo in scena al Teatro Quarticciolo di Roma. “Io Obietto” è una rielaborazione di un fatto di cronaca: la morte della giovane Valentina Milluzzo avvenuta a Catania nel 2016 a causa, essenzialmente, del rifiuto dei medici di un aborto terapeutico, in nome dell’obiezione di coscienza. Nel testo di Elisabetta Canitano (ginecologa e presidente dell’associazione Vita di Donna), Valentina viene rappresentata dall’attrice Gemma Carbone, nel ruolo di Bianca, ricoverata in ospedale alla ventesima settimana di gravidanza con due gemelli in grembo e l’utero dilatato.

Quest’ingenua e speranzosa ragazza verrà abbandonata dai medici dell’ospedale pubblico, nel quale era ricoverata, proprio per una loro mancata presa di posizione e per l’influenza della fede cattolica in queste drastiche decisioni.
Le altre attrici dello spettacolo (Laura Nardi, Daniela Giordano e Gaia Insenga), vestite esclusivamente di nero, come d’altronde anche Gemma, interpretano ruoli differenti: medici, ostetriche, anestesiste, infermiere non identificate e accomunate dalla codardia. Difatti, i loro personaggi rappresentano a livello generale tutta la comunità degli obiettori e ciò si accentua per l’utilizzo di semplici e bianche maschere, tutte uguali, durante i momenti nei quali dovrebbero scegliere. Altra figura rilevante, interpretata da Daniela Giordano, è quella della madre di Bianca: una donna disperata e adirata che assiste impotente all’ingiusta morte della figlia. È con quest’ultimo tragico episodio che si conclude la rappresentazione, avvenuta su un palco quasi spoglio che non permette alcuna distrazione, data anche l’assenza di giochi di luce: delle sedie, un lettino da sala operatoria ricavato da una valigia, delle panche.

Grazie anche ai dati forniti riguardo gli obiettori nelle diverse regioni di Italia e nel Mondo, inseriti nelle canzoni o tra le scena, lo scopo della messa in scena è stato centrato a pieno: la riflessione su quest’ostico argomento è stata indispensabile e naturale, una volta chiuso il sipario di quello che purtroppo non era solo finzione.

Giulia Giangravè

In Italia l’aborto è un argomento molto discusso, soprattutto a causa degli obiettori di coscienza. Il 70% dei medici è composto da obiettori; in alcune regioni si raggiunge anche il 90%. L’aborto in Italia è permesso dalla legge 194, ma a causa del diritto di obiezione risulta difficile applicarla. È questo il tema trattato nello spettacolo ‘Io Obietto’ andato in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo, scritto dalla ginecologa Elisabetta Canitano e diretto dal regista portoghese Amandio Pinheiro. Per quanto riguarda la scenografia non c’erano sfondi. È la storia vera di una donna catanese di nome Valentina – ma sulla scena Bianca – incinta di venti settimane, che muore insieme ai gemelli perché i medici si sono rifiutati di praticare l’aborto terapeutico. Questo perché la legge italiana dice che finché c’è battito fetale i medici non possono intervenire. Tutta la storia è ambientata nei corridoi, nelle sale operatorie e nella stanza n. 4 di un ospedale di Catania. Bianca quando si rivolge al pubblico sembra quasi che non sappia cosa stia facendo lì. Quando sua madre cerca di chiedere al primario cosa abbia, quest’ultimo non ne vuole sapere niente. Nessuno interverrà.

Sul palcoscenico un insieme di oggetti: un macinacaffè, una lattuga, una chitarra, delle lenzuola, delle panche, un lettino e un insieme di fili aggrovigliati e delle maschere bianche, per indicare come non esista solo un obiettore, ma ne esistano tanti. Nella maggior parte dell’esibizione è stata usata una sola luce bianca, con delle variazioni di luminosità, per evidenziare, ma senza nascondere nulla, cosa accade a una donna quando si trova in ospedale in tali condizioni. Quattro attrici interpretano vari personaggi: una recita la parte di Bianca; un’altra la parte del medico in sala operatoria; poi il primario e infine la madre di Bianca, che interpreta come una consolazione alcune canzoni scritte dalla stessa autrice del testo. Ogni attrice, in alcuni momenti, smette di recitare e si rivolge al pubblico per spiegare l’accaduto: quindi il narratore è interno.

Nonostante l’aborto sia concesso dalla legge dal 1978, questo spettacolo ci fa riflettere sul fatto che l’obiezione di coscienza è una questione ancora irrisolta, che ha pro e contro in continuo contrasto, perché da una parte alcuni dottori seguono convinzioni di stampo religioso, per le quali, praticando aborto, è come se uccidessero dei bambini; altri affermano che il solo obiettivo nella medicina è salvare vite umane e far stare bene le persone. Grazie alla dottoressa Canitano è stato possibile aggiungere al copione un pizzico di realismo, con l’uso di termini scientifici. L’obiezione di coscienza è un tema su cui ancora non è stato trovato un accordo e di cui in futuro sentiremo ancora parlare. La storia di Valentina potrebbe essere la base per iniziare a risolvere questa questione.

Arcangelo Lupo

“Io obietto” è uno spettacolo di Elisabetta Canitano, ginecologa sempre in prima linea nella difesa dei diritti delle donne. Il tema principale è l’obiezione di coscienza e l’influenza della Chiesa sul sistema sanitario italiano. Si tratta della storia di una donna di nome Bianca che, dopo aver provato più e più volte a rimanere incinta tramite la fecondazione assistita e, quindi, dopo aver speso più di 24mila euro, rimane incinta di due gemelli. Si trova alla ventesima settimana e viene ricoverata in un ospedale pubblico perché ha l’utero dilatato. Tutti i dottori sanno che la donna perderà i due bimbi, ma nessuno interviene perché, finché c’è il battito fetale, anche se la madre è in pericolo di morte e anche se per i bambini non c’è più nulla da fare, i medici obiettori non possono e non devono intervenire. Così tutti fingono, negano di non vedere o sentire e così Bianca muore con i suoi due gemelli.

Questo spettacolo, messo in scena al Teatro Quarticciolo di Roma dalla compagnia Causa, ha un cast di sole quattro donne che, per interpretare i medici obiettori, usano maschere simili a quelle dei medici durante la peste, per trasmettere inquietudine a chi lo sta guardando.
Bianca è quasi mamma, un po’ ingenua, è convinta che avrà questi due bimbi in serenità perché il ginecologo privato, che l’ha mandata in ospedale, l’ha rassicurata che non c’è niente di cui preoccuparsi; la madre di Bianca, sempre vicino a lei, si accorge che qualcosa non va nel momento in cui questa ragazza viene abbandonata nella stanza dell’ospedale per dieci giorni senza nessuna cura o controllo; il Primario, obiettore, con il suo assistente che non fa nulla per questa ragazza e dice alla madre che per la “letto 4”, cioè Bianca, può provvedere solo Lui e che loro, i medici, sono impotenti di fronte a Lui; poi ci sono le infermiere anch’esse coperte da maschere bianche che diventano anche cartelle cliniche.

L’uso dell’intero spazio, con cambi di scena veloci ed efficaci, rende molto toccante uno spettacolo che, oltre a trasportare nella storia di Bianca, sa fare informazione su un tema ancora poco conosciuto, come la diffusione dell’obiezione di coscienza nel mondo e la sue possibili conseguenze.

Aurora Abate

La legge 194 per la tutela della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza prevede, nell’articolo 9, che il personale sanitario possa dichiararsi obiettore di coscienza. Inserire la parola “coscienza” in un articolo di legge rende la stessa legge meno oggettiva e sottoposta a varie interpretazioni. Molti medici non praticano l’aborto finché è presente il battito fetale, anche se la donna, che ha richiesto di interrompere la gravidanza, rischia la vita. In Italia il numero di medici obiettori di coscienza sfiora il 90% per alcune regioni e questo costringe le donne a praticare l’aborto all’estero. In alcuni casi le donne vengono ricoverate in strutture, anche pubbliche, in cui i medici esercenti non intervengono, pur sapendo di avere davanti casi in cui, se non si agisce, moriranno sia i figli che le madri.

Questo è il caso di Bianca portato in scena al Teatro Quarticciolo, scritto dalla ginecologa Elisabetta Canitano. Le quattro attrici recitano su un palco disordinato e incompleto che rappresenta la mancanza di risposte al perché, ancora oggi, molti medici non intervengono pur conoscendo la gravità della situazione. Bianca, la protagonista, è una giovane ragazza che ha tentato diverse volte l’inseminazione artificiale, spendendo 24mila euro e riuscendo alla fine a rimanere incinta di due gemelli. A venti settimane viene ricoverata perché ha l’utero dilatato, ma nessuno interviene perché è ancora presente il battito fetale. Viene lasciata morire nel dolore con i suoi bambini. Nello spettacolo vengono evidenziati l’indifferenza e la cattiveria dei medici che trattano le donne come oggetti, offendendole e non curandole per salvarle. Al pubblico viene messa davanti agli occhi, nero su bianco, la cruda e triste verità. Le attrici vivono la vicenda e trasmettono la sofferenza provata dalla madre, il dolore e la speranza provata da Bianca che non viene informata di ciò che le sta accadendo. Viene messo in luce l’aspetto meschino dell’ambiente ospedaliero, che cerca solo di non metterci la faccia perché potrebbe rischiare di ricevere una denuncia.

Gloria Cossu

“Io obietto” è uno spettacolo andato in scena al Teatro Quarticciolo di Roma con un testo scritto dalla ginecologa Elisabetta Canitano per riflettere sul tema dell’obiezione di coscienza.
È la storia di Bianca, ricoverata in ospedale alla ventesima settimana di gravidanza con l’utero dilatato e lasciata morire per una setticemia, poiché tutti i medici presenti in reparto in venti giorni le rifiutano l’aborto terapeutico in nome dell’obiezione di coscienza. Il personaggio di Bianca è ispirato a Valentina Milluzzo, giovane siciliana vittima nel 2016, nell’ospedale Cannizzaro di Catania, di un destino simile a quello della protagonista della storia.

L’interpretazione della protagonista è straziante a causa dell’ingenuità e dell’ottimismo con cui si affida alle cure senza voler affrontare la realtà dei fatti: nessuno la assisterà. Il tutto è reso ancora più tragico dai continui gemiti che emette fino al fatale epilogo.
Rilevante è lo scenario: la scena rimane volutamente scoperta per metà per concentrare l’attenzione sui personaggi e, in particolare, sulla codardia e l’indifferenza di quei dottori che non hanno il coraggio di prendersi le proprie responsabilità.
È uno spettacolo educativo per le informazioni che contiene come, per esempio, le percentuali di obiettori di coscienza in ogni regione italiana ma, soprattutto, di denuncia contro l’influenza della Chiesa sul sistema sanitario nazionale e a favore di tutte quelle donne che hanno visto lesi i propri diritti.

Daniela Figliomeni

Il palcoscenico del Teatro Quarticciolo non è mai stato così pieno di oggetti: chitarre, panche, pinze, forbici, maschere, tavoli, lettini. Tra di essi, non sembra apparentemente esserci un vero filo logico, ma le attrici dello spettacolo “Io Obietto” sono state in grado di ricrearne uno.
Quattro donne, vestite completamente di nero, raccontano la storia della gravidanza di Bianca, ispirata a fatti realmente accaduti. Bianca, impersonata dall’attrice più giovane, è incinta di due gemelli. A soli venti settimane ha l’utero dilatato e viene mandata in un ospedale per essere tenuta al riposo e sotto controllo. Per questo motivo, gran parte dello spettacolo lo passa sopra un lettino ospedaliero e nello spazio che lo circonda come se fosse la sua stanza, dove può esporre a voce alta i suoi pensieri e le sue preoccupazioni legate ai suoi due piccoli gemelli, ottenuti dopo numerosi tentativi grazie all’inseminazione artificiale.

La sua situazione peggiora notevolmente e le infermiere non possono fare nulla, o meglio, non vogliono fare nulla: la vita di Bianca è esplicitamente a rischio e l’unico modo per salvarla sarebbe tramite l’interruzione volontaria della gravidanza. Gli infermieri dell’ospedale, però, essendo obiettori, si rifiutano di aiutarla perché il battito cardiaco dei due gemelli è ancora presente, lasciandola per 17 giorni in agonia fino a quando il cuore di tutti e tre smette di battere.
Le altre tre attrici si alternano nella parte dei personaggi restanti, tra cui quello della madre di Bianca, quello del primario dell’ospedale, le infermiere e le anestesiste.

Lo spettacolo è spesso interrotto da sequenze documentarie, non inerenti direttamente alla storia di Bianca in particolare ma all’argomento più generale dell’obiezione di coscienza.
Tra questi momenti c’è uno sketch comico in cui le attrici, coperte da maschere bianche, illustrano le percentuali degli obiettori di coscienza nei vari paesi d’Europa, confrontandole con i valori notevolmente più alti riscontrati nei paesi italiani e facendo delle sprezzanti congratulazioni.
Le pause di questo tipo, insieme alle canzoni suonate con la chitarra, sono funzionali: il sarcasmo, le critiche velate e la messa in risalto della triste verità, contribuiscono all’accrescersi di tristezza, dispiacere e amarezza nello stato d’animo dello spettatore dopo la riflessione sul tema agghiacciante e purtroppo attuale dell’obiezione di coscienza.

Sara Buccino

Il regista portoghese Amandio Pinheiro e la sua compagnia mettono in scena al Teatro Quarticciolo di Roma “Io Obietto”, il caso della morte di Bianca, una ragazza siciliana incinta e uccisa dalla mala sanità italiana. Questo decesso, ispirato a un fatto realmente accaduto, vede le sue cause nel rifiuto da parte dei medici nel praticate un aborto terapeutico, in nome della loro obiezione di coscienza. La macabra scenografia ci trasmette la sensazione che l’orrido e il dolore siano molto più vicini a noi di quanto si possa pensare. Bianca, l’ingenua ragazza che porta in grembo due gemelli, verrà lasciata al suo terribile destino proprio da coloro a cui lei aveva deciso di affidarsi.

La mancante importanza data alla vita altrui ci testimonia ancora una volta le lacune del sistema sanitario nostrano, fatto di persone che preferiscono lasciar morire una giovane ragazza, piuttosto che assumersi le proprie responsabilità.
La versatilità delle quattro attrici le porta a interpretare differenti ruoli, che culminano in una grande interpretazione. La mancanza di oggetti scenografici sul palco permette allo spettatore di non staccare nemmeno per un momento gli occhi dagli attori, molto bravi nell’accentrare l’attenzione del pubblico. Lo spettacolo termina con la morte di Bianca, avvenuta nell’oblio generale e nell’oscurità scenografica. Lo spettatore trova difficoltà a non commuoversi per questo finale. La storia, emotivamente e socialmente non può che coinvolgere tutti.

Claudio Ceci

“Io obietto” all’apparenza potrebbe sembrare una semplice frase che non trasmette nulla al pubblico, ma presso il Teatro Quarticciolo queste due parole hanno raccontato una storia, rendendole responsabili di una tragedia. È la storia di Bianca, una donna incinta di due gemelli, lasciata morire insieme a loro grazie a medici obiettori. Spettacolo particolarmente toccante, affronta temi come l’aborto e la morte; è basato su una storia vera o, meglio dire, su fatti realmente accaduti che, duole dire, accadono ancora o stanno accadendo in questo momento.

Luci, scenario, costumi degli attori, tutto sprigiona colori bui e cupi che riflettono la fine tragica della vicenda. Quello che a primo impatto può sembrare un palco apparentemente disordinato e pieno di oggetti sparsi di qua e di là, dove i medici cantano, contribuisce invece a creare suspense sulla fine della protagonista e a mostrare l’indifferenza dei medici circa la sua situazione di grave pericolo di vita, sia per lei che per gemelli in pancia.
Proprio nei momenti in cui Bianca aspetta di essere visitata, i medici prendono dal lato destro del palco una chitarra molto colorata e iniziano a cantare canzoni che apparentemente possono sembrare demenziali, ma che poi rivelano un contenuto totalmente rilevante per quanto riguarda la storia. Si è trattato di varie canzoni, tutte pressappoco dallo stesso sound, cantate a cappella da una sola attrice che interpretava il medico.

Particolare attenzione è stata focalizzata sulle figure dei medici, persone, anzi esseri spregevoli poiché responsabili di tre morti che, grazie all’utilizzo di maschere, mutavano in veri e propri mostri, quasi demoni; la figura di Bianca è invece una giovane donna piena di speranza nei confronti della vita, nonostante reduce da due gravidanze non andate a buon fine.

Teresa Spinucci

Questi articoli sono da considerarsi come esercitazione su materiali di lavoro. Frutto del laboratorio di scrittura critica per l’alternanza scuola-lavoro, condotto da Teatro e Critica presso il Liceo Kant di Roma

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